EMOZIONI A CAPO SARDAO
EMOZIONI A CABO SARDÃO
Meraviglia dopo continui zigzag e su e giù per basse colline vedersi comparire una strada dritta e percorrerla per chilometri tra campi quasi piatti e coltivati. Gli eucalipti e i pini marittimi hanno lasciato il posto a piante meno ombrose e imponenti.
Siamo diretti a Cabo Sardão.
Lasciamo la N120 da São Teotonio per Fataca e per Corvoleiro. Poche case, un bar alla vista. L’attraversiamo. La strada asfaltata finisce al faro.
Sappiamo di non poterlo visitare, così gli giriamo attorno per una strada sterrata malmessa.
C’è un campo di calcio, in piena regola, tra l’edificio e la scogliera; manca solo il fondo erboso.
Immaginiamo subito una partita dai mille palloni e ci viene da sorridere. Poi però consideriamo che oltre ai campi da golf, più selettivi, gli abitanti del posto hanno saputo ritagliarsi un angolo più popolare.
Lasciamo la macchina al primo spiazzo. È proibito proseguire. È rischioso, non ci sono barriere, soprattutto col buio.
È meglio, perché merita fare piedi il breve tratto lungo la scogliera.
Tra i gabbiani spicca nel cielo prima terso poi percorso da nuvole bianche, diafane e veloci, l’imponente apertura alare di una cicogna.
Siamo venuti apposta per vederle. Anche se è possibile trovarle lungo la strada, ritte sul nido che gli agricoltori della zona hanno lasciato costruire su un palo, un camino o una piccola torre.
Nidi aggrappati sulle rocce, non capiamo se al riparo dal vento o a alla sua mercede sfidandolo. Ci stupisce che resistano.
Non sono molto distanti da noi. Non riusciamo a percepire se in qualche modo il vento li investa e ne agiti o scompigli le piume. Ci sembrano per questo immobili e riparati.
Notiamo dei piccoli. Pure un piccolo falco ci osserva sul ciglio proprio a strapiombo. Un altro, ugualmente giovane, forse della stessa nidiata, lo ha appena abbandonato lanciandosi giù verso l’oceano.
È tutto spettacolare. Le rocce scistose, di un nero marcato, a strati, più recenti si lasciano lambire e violare dal moto travolgente e insinuante delle onde.
Non siamo soli. Ci meraviglia altrettanto. Qualcuno si ferma. Si siede e seppure avvolto e intirizzito da gelide folate osserva. Non si muove. Solo gli occhi si perdono lontano.
La massa oceanica turba ed affascina. Il sole che scalda lascia tratti esili e luminosi sulle onde fugaci.
Qualcosa entra dentro. Il rumore del mare e il fischio del vento si sono aperti un varco, così isolano e lasciano silenzio.
In quello spazio ampio in cui ci si può solo perdere e che mai potrà farci sentire sicuri, forse è giusto bello sapersene lontani ed osservare negli anfratti delle rocce la vita che resiste, che ha fatto di un luogo così impervio il suo habitat.
Non una barca oggi solca il mare. Si vedono scogli affiorare vicino alla costa.
Ritorniamo alla macchina. Deviamo per Zambujeira do Mar. Merita la sua spiaggia increspata tra scisti ancora più neri.
Ci sono più case, più ristoranti, una sorta di rosa dei venti in un spiazzo rotondo prossimo alla terrazza sul mare.
Contiamo di ritornarci in occasione del festival di musica che si ripete ogni anno da anni.
Verso sud deviamo per Odeceixe. Un fiume stretto, sempre pieno d’acqua si è ritagliato il passaggio verso il mare.
Dal paese arroccato prendiamo la strada che lo costeggia e poi lascia salendo al piccolo agglomerato di case di pescatori che dominano la foce.
Da lì si scende al mare, alla spiaggia che riveste d’arenile l’insenatura fino al corso d’acqua deviato a destra lungo la falesia.
Un poco più a sud una piccola spiaggia dedicata al nudismo attira il turista curioso ma con aria discreta.
Ci riportiamo sulla nazionale sulle colline. Qualche sobbalzo ogni tanto ci ricorda la presenza dei pini lungo la carreggiata.
Dove un piccolo corso d’acqua sembra perdersi deviamo verso il mare. Siamo a Carrapateira. Non possiamo non fermarci. Prendiamo per un sentiero. Presto arriviamo all’acqua. Dobbiamo levarci le scarpe. Guadiamo. L’acqua lenta lambisce fino al ginocchio. Non è fredda, ristora. Siamo sulle dune, alla distesa di dune. La sabbia riscalda in fretta i nostri piedi fin quasi a scottarli.
Acceleriamo il passo come possiamo. C’è dell’erba cocciuta nei pressi dell’acqua, poi scompare.
Il corso segue la roccia a sinistra. È ancora più tiepida. La sabbia ormai appiattita si distende fino al bagnasciuga fin quasi a perdersi alla vista. C’è gente, ma è sparsa, dispersa.
Tavole infilate nell’arena un poco ovunque aspettano di solcare le onde incessanti.
Il mare è increspato. Si contano dieci, quindici onde in arrivo. Superbe, remote, costanti.